La leggenda della Janara in provincia di Benevento
Nel piccolo borgo di Sant’Agata dei Goti, annidato tra colline e silenzi, la gente parlava sottovoce quando il vento soffiava troppo forte, perché si diceva che quella fosse l’ora in cui passava la janara.
Non era una donna come le altre. Viveva ai margini del paese, in una casupola di pietra tra gli ulivi e le erbe selvatiche. Nessuno l’aveva mai vista davvero in volto, ma tutti la conoscevano: capelli neri come la pece, occhi che brillavano nella notte, mani esperte nel curare con tisane ma capaci, dicevano, anche di maledire.
I bambini la temevano. Le madri, la sera, dicevano:
«Mangia tutto o stanotte viene la janara e ti porta via».
E bastava quel nome per far rigare dritto anche il più testardo.
C’era però chi, come il giovane Pasquale, figlio del fornaio, non credeva a quelle storie. Aveva diciassette anni e il cuore acceso dalla sfida. Una notte di dicembre, quando il paese dormiva sotto le coperte e il gelo mordicchiava i tetti, decise di scoprire la verità.
«Stanotte la vedrò con i miei occhi», disse, stringendo tra le mani un sacchetto di sale, come aveva sentito dire dai vecchi.
Si nascose vicino alla chiesa, sotto l’arco di pietra, e aspettò. Le campane rintoccarono la mezzanotte. Da una porticina laterale uscì un flusso di persone. Tutti con il volto coperto, muti come statue.
L’ultima a uscire non camminava: scivolava. I piedi non toccavano terra. Aveva un lungo mantello scuro e un volto pallido, spettrale. Pasquale trattenne il respiro.
Con mano tremante, rovesciò il sacchetto di sale sul selciato. La figura si fermò. Si piegò lentamente. Cominciò a contare i granelli, uno a uno.
«Uno… due… tre…»
Non alzava lo sguardo. Continuava a contare. Pasquale allora corse via, senza mai voltarsi. Da quella notte, nessuno lo sentì più dubitare. Ogni sera, posava con cura una scopa capovolta accanto alla porta di casa, e in un angolo nascosto della cucina, teneva sempre un pizzico di sale.
E la janara? Nessuno la vide più, ma il vento – nei vicoli stretti – continuò a portarne l’eco.
Perché certe presenze, anche se non le vedi, sai che ci sono.